Nel 1911 Vincenzo Peruggia, originario di un paese del nord della provincia di Varese,
ha trent’anni e lavora come imbianchino-decoratore al Louvre di Parigi
ed è proprio qui che compie il furto del secolo.
Verso le sette del mattino di lunedì 21 agosto 1911, giorno di chiusura del Louvre,
il Peruggia entra nel museo, si dirige inosservato al Salon Carré
e qui stacca dalla parete uno dei capolavori più famosi del mondo,
La Gioconda di Leonardo Da Vinci.
Il fine del Peruggia è patriottico: restituire all’Italia il quadro che riteneva, a torto,
rubato da Napoleone (in realtà fu portato in Francia dallo stesso Leonardo
e fu acquistata, assieme ad altre opere, da Francesco I).
A nulla valgono le indagini della polizia francese ed è dopo ben 2 anni,
il 12 dicembre 1913, che Vincenzo Peruggia decide di «renderla»
a un antiquario fiorentino, chiedendo solo mezzo milione di lire
come «rimborso spese» (la Gioconda era valutata 3 milioni).
L’antiquario lo denuncia, poche ore dopo il ladro è in manette
e la Gioconda sequestrata.
Da questo punto della storia, lasciamo che siano le parole di Ettore Modigliani,
direttore della Pinacoteca di Brera dal 1908 al 1934, a raccontarci i fatti di quei giorni.
[…]
ora il capolavoro trovasi al sicuro in deposito agli Uffizi.
Ma sarà la vera Monna Lisa? Non sarà una copia?
Una copia fatta per stornare le indagini sulla vera “Gioconda” nascosta?
Corrado Ricci, Direttore Generale per le Antichità e Belle Arti corre a Firenze
e conduce seco Luigi Cavenaghi, il principe dei nostri restauratori di antiche pitture,
con qualche altro esperto. E viene la parola rassicurante:
nessun trucco, nessun dubbio: “L’è lee, l’è lee” aveva detto Cavenaghi.
Le autorità italiane concordano con i francesi un periodo di esposizione
del dipinto in Italia prima del suo ritorno a Parigi
e Milano è la terza e ultima tappa, dopo gli Uffizi di Firenze,
Palazzo Farnese e Galleria Borghese a Roma.
È Modigliani ad accompagnare la Gioconda in treno da Roma a Milano
ed è proprio alla stazione, col treno in partenza, che Corrado Ricci,
direttore generale delle antichità e belle arti, si rivolge a lui
e a Paul Leprieur, Direttore del Dipartimento delle Pitture al Louvre e dice: