Testa di Cristo (dall’Ultima Cena)
Scheda tecnica
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Titolo
Testa di Cristo (dall’Ultima Cena) -
Autore
Artista lombardo -
Anno
1500-1510 ca. -
Dimensioni
mm 400 x 320 -
Inventario
Reg. Cron 862; Inv. 959
Tra le opere in relazione al Cenacolo di Leonardo, il bellissimo studio di Brera a pietre colorate con la Testa di Cristo è storicamente una delle più significative, seppur estremamente danneggiato e pesantemente restaurato. Il foglio rappresenta anche una delle pietre miliari nella storia delle tecniche del disegno rinascimentale, in quanto mostra una precoce adozione di pietre colorate, sia naturali sia pastelli prodotti artigianalmente. La Testa di Cristo risulta compatibile nelle sue dimensioni alla testa del Salvatore nel murale di Leonardo (cfr. Amoretti 1804, p. 60). Estremamente simili appaiono anche alcuni dettagli del volto, come l’espressione di pathos trattenuto nella bocca socchiusa e la leggera barba che ne accarezza il mento. Lo studio a pietre colorate di Brera è stato spesso considerato come un’opera autografa di Leonardo con successivi ritocchi o addirittura attribuito interamente al grande maestro: a parere di chi scrive entrambe le proposte sembrano tuttavia molto difficili da accettare, soprattutto sulla base di attenti studi ed esami compiuti direttamente sull’originale. La lunga storia attributiva, in favore o contraria all’autografia leonardesca, è stata riepilogata da Pietro C. Marani, studioso che ascrive il foglio almeno parzialmente alla mano di Leonardo (in Disegni del Cinque e Seicento... 1986; in Disegni e dipinti... 1987; Marani 2003; in La bella Italia… 2011). Certamente l’esecuzione di questo disegno appartiene alla mano di un artista di grande pregio. La tecnica sottilmente pittorica con la quale è reso l’effetto luministico e cromatico nella Testa di Cristo di Brera conferma che ci troviamo di fronte a un artista attivo nell’immediata cerchia di Leonardo, tuttavia i dati fisici del disegno mostrano abbastanza chiaramente – lo si vedrà più avanti – come questo artista fosse in realtà destrorso, un dato di fatto che sembra essere sfuggito agli studiosi che hanno sostenuto l’attribuzione, totale o parziale, al mancino Leonardo da Vinci. In modo da valutare in modo più consapevole le questioni attributive, lo stile e la tecnica esecutiva del disegno dovrebbero essere considerati insieme ai problemi di conservazione e fisici del foglio. La Testa di Cristo di Brera ha ricevuto un intervento conservativo nel 1975 che ne ha foderato il supporto e integrato alcune perdite con della carta giapponese (Marani, in Disegni del Cinque e del Seicento… 1986, p. 27). Eseguiti da antichi restauratori, i ritocchi estensivi sul disegno (ancora visibili a occhio nudo) furono attentamente registrati da una campagna fotografica comparativa a luce visibile e a raggi infrarossi eseguita secondo il protocollo di Grassberger, originariamente concepito e sviluppato all’Università di Vienna: i risultati di queste riprese furono resi noti in due fotografie pubblicate in una breve nota da Anna Maria Brizio nel 1962. Questo articolo presentava uno dei casi più pionieristici nei quali un’opera di (o attribuita a) Leonardo veniva esaminata con successo attraverso la strumentazione scientifica. Metodi di riprese scientifiche sui disegni leonardeschi vennero introdotti già verso il 1949-1452 ma non sempre con fruttuosi risultati (cfr. Bambach 2013b, 2014). In seguito a questo esame, nel 1962 Brizio si riferì all’attribuzione del disegno di Brera parlando del “discusso disegno leonardesco della Testa di Cristo”, usando quindi una formula molto cauta e giudiziosa. Un’opinione negativa circa l’autografia leonardesca del foglio era stata espressa, tra gli altri, da alcuni illustri studiosi di disegni rinascimentali italiani come A.E. Popham (che escluse il disegno di Brera dalla sua monografia dedicata ai disegni di Leonardo del 1945, riedita varie volte tra il 1946 e il 1994), Bernard Berenson (Drawings of the Florentine Painters nelle edizioni del 1901 e 1938 e ne / Disegni dei pittori fiorentini, Milano 1961, vol. 1, p. 255, come: “testa di Brera che non conserva più traccia della mano del suo autore [Leonardo]”) e, più tardi, Ludwig Heydenreich (Leonardo: The Last Supper, London 1974, come: “Follower of Leonardo”). L’esame diretto del disegno originale con la Testa di Cristo rivela ancora numerose macchie di umidità e altre scoloriture del supporto, molte forature da tarli, lacune grandi e alcune antiche integrazioni della carta che si sovrappongono a quelle più delicate del restauro con carta giapponese del 1975. Il supporto originale del disegno era probabilmente di carta azzurra, ora sbiadita a una pallida tonalità grigio-marrone, e la superficie della carta è stata forse anche selettivamente preparata con uno strato molto sottile di gesso bianco (bianco di piombo), probabilmente con il fine di conferire alla composizione un senso di luminosità. La funzione di questa preparazione non è del tutto chiara ma ricordo che sia il cartone di Leonardo di Isabella d’Este al Louvre sia i pastelli di Boltraffio all’Ambrosiana mostrano un simile strato sottile di preparazione a gesso bianco. Con il passare del tempo, la superficie del disegno è stata pesantemente abrasa causando piccole e grandi perdite di pigmento, a volte molto gravi. Nonostante queste lacune, la Testa di Brera presenta ancora uno straordinario effetto evanescente di luce e di ombre che sembra rievocare gli insegnamenti e le speculazioni di Leonardo sulla transizione dei toni espresse nei suoi due manoscritti scientifici dedicati alla teoria di luce e ombra, il Ms. C e il Ms. A di Parigi (Bibliothèque de l’Institut de France, MSS inv. nn. 2174, 2172, 2185), databili al 1490-1492 circa. Gran parte delle modellazioni sul volto, collo e capelli del Cristo mostrano tuttavia la presenza di un tratteggio netto e separato che l’artista non ha attenuato con lo sfumino. I materiali originali utilizzati sembrano essere stati una pietra nera di qualità granulosa e dalla pallida colorazione grigia (che avrebbe dovuto far apparire il disegno abbastanza leggero sulla carta), pietra rossa, pietre rosa e marrone (naturali, prodotte artigianalmente o pastelli). Alcuni passaggi sui capelli e sulla parte inferiore del volto sembrano essere stati rinforzati da un antico restauratore con una pietra nera dalla qualità grassa di un pastello a cera (crayon), molto più scura e compatta della pietra naturale. Le qualità tonali del volto di Cristo e alcuni contorni sembrano essere stati rinforzati in alcuni brani da un passaggio successivo di pietra rossa. La stesura dei materiali originali – e specialmente della pietra nera-grigia- è stata eseguita dall’artista sia attraverso linee delicate di contorno, con molti ripassi esplorativi lungo i profili del volto e del collo, sia un tratteggio parallelo-diagonale tracciato con una pressione della mano variabile. Anche negli strati del disegno più profondi, tutti i passaggi sono destrorsi, come evidenzia l’andamento del tratteggio che va dal basso verso l’alto da sinistra verso destra o dall’alto verso il basso e da destra verso sinistra: questo dato dimostra inequivocabilmente che l’autore del disegno non può essere un mancino, come Leonardo (si veda Bambach 2003b). Anche gli interventi di restauro antichi sulla Testa di Cristo mostrano un segno di tratteggio chiaramente destrorso che segue un analogo andamento. Nonostante non sia identificabile con Leonardo, l’autore del disegno di Brera ha non di meno abbracciato le innovazioni maturate dal grande artista al tempo della pittura del Cenacolo, tra il 1493-1494 il 1498. Leonardo aveva ripetutamente consigliato ai suoi allievi di praticare il disegno dal vero (“ritrare dj naturale”) e portare in giro un taccuino (“picioli lib[r]etti”) sul quale appuntare pose ed espressioni delle persone reali, come ricorda una sua nota sulla pittura del 1490-1492 circa conservata sul Ms. A di Parigi (inv. 2185, ff. 33v, 27v). Il ricordo del modello usato da Leonardo per la figura di Cristo è ancora molto presente sul disegno di Brera: un giovane permeato di bellezza idealizzata ma che ancora esprime una tacita vivacità e una grande realtà d’espressione. Il Codice Forster II (ff. 3r, 6r), il piccolissimo taccuino tascabile di Leonardo del 1494-1497, accoglie le note dell’artista circa alcuni modelli da utilizzare per i suoi dipinti: qui appuntò che un nobile ragazzo al servizio del cardinale di Mortara poteva essere utile come modello per la figura di Cristo nell’Ultima Cena: “crissto / giova[n] co[n]te quello del cha/rdjnalo del mortaro”. L’artista aveva anche annotato un altro uomo, Alessandro da Parma, che poteva servirgli per le mani di Cristo: “alessandro charissimo / da parma p[er] la ma[n] di xpo”. Non meno rilevanti per la comprensione del foglio di Brera sono le innovazioni portate avanti da Leonardo nel campo delle tecniche del disegno. Le note del Vinci fanno riferimento al poco diffuso medium del pastello e si datano generalmente proprio al periodo della pittura del Cenacolo di Santa Maria delle Grazie, tra il 1493-1494 e il 1498. Nel Codice Atlantico (f. 6697) l’artista si riferisce al metodo di Jean Perréal (Jean de Paris) di usare i pastelli (“piglia da glilan dj paris il modo de colorire / asseccho”), fornendone la ricetta nel Codice Madrid I (f. 191 v-r: “p[er] fare pastellj”) e nel Codice Forster II (f. 159r: “pler] fare pu[n]te da colorire assecho”; cfr. Bambach [2008] 2010). Nel Trattato dell’arte della pittura, scoltura et architettura (Milano 1584), Gian Paolo Lomazzo descrisse ampiamente tecniche e materiali per disegnare: tra questi figura “la pietra rossa detta lapisso, la qual era usitatissima da Leonardo da Vinci” (Lomazzo 1973-1975, vol. 2, p. 169). Lomazzo notò in Leonardo l’uso frequente nel disegno del nuovo medium del pastello, una pietra colorata prodotta artigianalmente: “Non tacerò anco d’un altro certo modo di colorare che si dice a pastello, il quale si fa con punte composte particolarmente in polvere di colori che tutti si possono comporre. Il che si fa in carta, e molto fu usato da Leonardo Vinci, il quale fece le teste di Cristo e de gl’apostoli a questo modo, eccellenti e miracolose, in carta. Ma quanto è difficile il colorire in questo nuovo modo, tanto è egli facile a guastarsi” (Lomazzo 1973-1975, vol. 2, p. 170). Quali esempi dell’adozione del pastello da parte di Leonardo, lo storiografo citò esplicitamente gli studi per la testa di Cristo e degli apostoli nell’Ultima Cena, ma è davvero rischioso dare completa credibilità a queste affermazioni circa l’autografia dei disegni, considerato che quando stava scrivendo, tra il 1570 e i primi anni ottanta del Cinquecento, Lomazzo aveva quasi completamente perso la vista e che in quel periodo moltissime opere venivano indiscriminatamente attribuite al grande maestro.
È comunque possibile ipotizzare che le dichiarazioni dell’autore milanese circa gli studi a grandezza naturale eseguiti da Leonardo a pastello in preparazione delle teste dell’ Ultima Cena fossero basate, più che su disegni originali, sulla conoscenza di alcune ben note copie eseguite dal murale. Dobbiamo comunque dare a Lomazzo il beneficio del dubbio, dato che si rivela preciso su vari aspetti intorno a Leonardo in molti altri passaggi. In ogni caso, non esistono a oggi disegni eseguiti a pastello certamente attribuibili a Leonardo prima del Ritratto di Isabella d’Este (Parigi, Musée du Louvre, DAG inv. M.I. 753) del 1500-1503 circa, cartone sul quale sono evidenti il tratteggio mancino a pietra nera, rossa e gesso bianco, pastello giallo e un disegno sottostante a punta di piombo, su due fogli uniti di carta preparata con un colore neutro secco. Tenderei a datare l’esecuzione della grandiosa Testa di Cristo di Brera tra il 1500 e il 1510, date entro le quali sappiamo che il murale di Santa Maria delle Grazie veniva già copiato da artisti affermati, come indicano alcuni documenti. Il 29 maggio 1503, Bramantino siglò un contratto per eseguire una copia della Cena di Leonardo (Milano, Archivio di Stato, Notarile, notaio Francesco Moriggi, filza 6190; pubblicato per la prima volta da Shell 1995, pp. 119, 253-254, n. 94); tre anni dopo, il 16 giugno 1506, a Marco d’Oggiono fu commissionata ancora una copia dal Cenacolo (Milano, Archivio di Stato, Notarile, notaio Nicolò Draghi, filza 3019; Shell 1995, pp. 254-255, n. 95). Nonostante sia cronologicamente precedente e di mano di un artista diverso, la Testa di Brera fa parte di una tipologia di copie in scala reale su carta e a pietre colorate dalle figure del Cenacolo di cui esistono due importanti serie databili al primo Cinquecento: la cosiddetta serie “Saxe Weimar” e quella “Strasburgo” (si veda anche: Geddo 1998; Rovetta, in Il genio… 2001, pp. 192-198, nn. 54-64; Ballarin 2010, vol. 2, pp. 783-830; Wolk-Simon 2011). Il primo gruppo di diciannove copie a pastello dal Cenacolo, già nella collezione dei gran duchi di Saxe-Weimar, risulta ora divisa tra l’Ackland Art Museum della University of North Carolina a Chapel Hill, la National Gallery of Victoria a Melbourne e varie collezioni private. Il secondo set di copie a pastello consiste nei fogli principalmente preservati al Cabinet des Estampes et des Dessins di Strasburgo. Le copie della serie Saxe-Weimar sono pesantemente ritoccate e presentano una serie complessa di integrazioni dovute ai numerosi passaggi collezionistici. Questi pastelli possono essere attribuiti a Boltraffio con un buon grado di certezza (in accordo con Geddo 1998). Anche la serie di Strasburgo mostra alcuni interventi di restauro, anche se non così estesi, e sembrerebbero appartenere alla mano di Giampietrino, autore di una monumentale copia su tela dell’Ultima Cena (Londra, Royal Academy of Arts, in esposizione permanente al Magdalen College, Oxford; ancora in accordo con Geddo 1998). Assieme alle serie già Saxe-Weimar e Strasburgo, la Testa di Cristo di Brera documenta la ricezione delle innovative tecniche grafiche di Leonardo al tempo del murale di Santa Maria delle Grazie. I dati forniti da queste copie eseguite degli artisti lombardi con il nuovo medium del pastello certificano quindi un momento di grande fermento e sperimentalismo di Leonardo nel disegno negli anni novanta del Quattrocento. Questi fogli documentano altresì il suo crescente utilizzo in questo periodo di media secchi come la pietra nera, il carboncino e la pietra rossa, materiali che meglio si adattavano ai suoi scopi pittorici, in quanto le tracce da essi lasciate sulla carta potevano più facilmente essere del tutto sfumate, così da consentire effetti ottici e luministici di luci e ombre molto più precisi e graduali, secondo le teorie del grande maestro registrate nei Mss. C e A di Parigi. Dopo il 1500, Leonardo esplorò approcci ancora più pittorici nel disegno, spingendo questi effetti luministici al limite e sperimentando scale cromatiche e combinazioni di materiali, talvolta mescolando media secchi e polverosi o carboncino, con materiali viscosi e liquidi, come gli inchiostri e i guazzi. Il primo proprietario noto in epoca moderna della Testa di Cristo di Brera fu l’erudito e collezionista Antonio Mussi, abate della Congregazione degli Oblati a Milano, professore d’Arte, di Lingue orientali e Greco all’Università di Pavia nonché dottore della Biblioteca Ambrosiana di Milano (cfr. Marani 1986). Mussi descrisse nel dettaglio lo studio per la Testa di Cristo nelle sue Poesie Pittoriche pubblicate nel 1799: “Il volto del Salvatore, nell’atto di pronunziare nell’ultima cena con gli Apostoli quelle parole: uno di voi sta per tradirmi. Questa descrizione è fatta sul disegno originale, grande al natural, dipinto a pastello, posseduto dall’autore. L’original dipinto sul muro di S. Maria delle Grazie in Milano, guasto dal tempo e da nuovo pennello, è ben lontano dall’incredibile espressione che si vede in questo” (Mussi 1799, p. 12). Come si legge, Mussi stava anche testimoniando la condizione rovinosa nella quale versava il Cenacolo alla fine del 1700.
Bibliografia: C.G. Gerli, C. Amoretti, Disegni di Leonardo da Vinci incisi e pubblicati da Giuseppe Gerli milanese. Ragionamento intorno ai disegni di Leonardo da Vinci compresi in questo volume di C. Amoretti, Milano 1784, p. 8; A. Mussi, Discorso sopra le arti del Disegno recitato da Antonio Mussi , Pavia 1798, p. 33; A. Mussi, Poesie Pittoriche di Antonio Mussi O.P. professore di Belle Arti e di Lingua Greca nella Università di Pavia, Pavia 1799, p. 12; C. Amoretti, Memorie storiche su la vita di Lionardo da Vinci scritte da Carlo Amoretti, 1804, p. 60 (“la testa del Salvatore medesimo in grandezza naturale dipinta dal Vinci per istudio del Cenacolo”), p. 197; A.M. Brizio, Il nuovo metodo del prof. Grassberger per mettere in evidenza i ritocchi soprammessi a dipinti e disegni, in”Raccolta Vinciana”, vol.XIX, 1962, pp. 297-299 (come “disegno leonardesco”); Marani, in Disegni lombardi del Cinque e Seicento della Pinacoteca di Brera e dell’Arcivescovado di Milano, catalogo della mostra (Milano, Pinacoteca di Brera 1986) a cura di D. Pescarmona, Firenze 1986, pp. 27-31, cat. 1 (come “Leonardo da Vinci (1452-1519) [?] e seguace”); Disegni lombardi… 1986; P.C. Marani, Leonardo e i leonardeschi a Brera, Firenze 1987, pp. 68-71, n. 1 (come “Leonardo da Vinci”); P. C. Marani, Il genio e le passioni, Leonardo e il Cenacolo. Precedenti, innovazioni, riflessi di un capolavoro, Milano 2001, pp. 150-51, cat. 40 (come “Leonardo da Vinci e successive ripassature”); P.C. Marani, Leonardo’s drawings in Milan and their influence on the graphic work of Milanese artists, in Leonardo da Vinci Master Draftsman, catalogo della mostra (New York, MET 2003) a cura di C.C. Bambach, 2003, pp. 182, 190, n.96, fig. 101 (come “Leonardo da Vinci [reworked by a later hand]”); C.C. Bambach, Leonardo’s notes on pastel drawing, in M. Faietti, L. Melli, A. Nova (a cura di), Le tecniche del disegno rinascimentale: dai materiali allo stile. Atti del convegno internazionale di Firenze 2008, in “Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz”, vol. 52, nn2-3, 2008 [2010], pp. 194, 197, 204, n. 59, fig. 18 (come “Follower of Leonardo da Vinci, with restorations”); A. Ballarin, Leonardo a Milano 2010, vol. 1, Padova e Regione Lombardia 2010, pp. 796, 819-820, 832-833, 835, 843, 849-850, vol. 4, tav. 855 (come “Artista milanese da Leonardo”); P.C. Marani, in A. Paolucci (a cura di), La bella Italia. Arte e identità delle città capitali, catalogo della mostra (Venaria Reale, Scuderie Juvarriane), Cinisello Balsamo 2011, pp. 326-27, cat. 9.1.11 (come “attribuito a Leonardo e successive ripassature”); C.C. Bambach, On the role of scientific evidence in the study of Leonardo’s drawings /De la function d’une approche scientifique dans l’étude des dessins de Léonard, in M. Menu (a cura di), Leonardo da Vinci’s technical practice: Paintings, Drawings and Influence / La pratique technique de Leonard de Vinci: peintures, dessins et influence, Paris 2014, pp. 225-226 e nota 6, fig. 4 (come “after Leonardo, with extensive later reworking by restorers”); C. C. Bambach in AA.VV., Il Primato del Disegno. I disegni dei grandi maestri a confronto con i dipinti della Pinacoteca di Brera. Dai Primitivi a Modigliani, catalogo della mostra a cura di S. Bandera, Milano 2015, pg. 78-79.
Carmen C. Bambach
* Carboncino, pietra nera, pietre colorate e pastello,su carta scolorita marrone chiaro-grigio, e leggermente preparata crema e bianco di piombo; integrazioni e interventi successivi sul disegno e la carta, controfondato con carta giapponese, restaurato nel 1975.
400 x 320 mm (immagine visibile in cornice).
Provenienza: Antonio Mussi (Arona, 1751 – Milano, 1810); lascito testamentario all’Ospedale Maggiore di Milano, 1809; venduto alla Pinacoteca di Brera di Milano nel 1813 (per i documenti d’acquisto si veda Disegni lombardi… 1986).