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Autoritratto

Scheda tecnica
  • Titolo
    Autoritratto
  • Anno
    1720 ca.
  • Dimensioni
    mm 281 x 205
  • Inventario
    168

Pochi minuti di fronte a uno specchio; la rapidità dei segni sul foglio non lascia dubbi sul tempo di posa. La matita nera, quella delle prime tracce poi sempre coperta dal migliore gesso rosso, si muove rapida e sicura sopra un foglietto di carta grigia. In piedi e di tre quarti di fronte al cavalletto non inquadrato, Crespi si fissa serio con gli strumenti di lavoro in mano: con la sinistra (ossia con la destra: è allo specchio) regge una sottile tavolozza rettangolare già imbrattata di colori e un fascio di pennelli; con la destra (quindi con la sinistra), al margine del campo visivo in basso, tiene stretto il poggiamano. Gli abiti sono quelli da casa e da lavoro: una giacca lunga sopra una camicia bianca aperta sul collo, in testa una scura berretta floscia portata alta sulla fronte stempiata. L’orgoglio del proprio mestiere ostentato nella sua semplice quotidianità, di ascendenza neo-stoica; ma basta quel giro di panni attorno alla vita e la destra alla cintura, come a impugnare il pomolo di una spada, a farne il ritratto di un cavaliere con tanto di armi e di fusciacca. Ma non c’è parrucca e non vi sono orpelli. Il viso è segnato dal tempo, le rughe solcano la fronte e scavano le orbite degli occhi, ancora vivi e lucidi, la bocca è rinsecchita attorno a un labbro sottile, il collo secco inciso dagli anni. E la stanza è nuda e spoglia.

Roli (1981) per primo s’accorse della sua vera natura bolognese, quando nella raccolta lombarda il foglio, per nulla caricaturale, era chiamato col nome improprio di «<Pier Leone Ghezzi». Più difficile è stabilirne la provenienza. Si tratta certamente dell’«Autoritratto» posseduto dal collezionista osimano Filippo Acqua (Osimo 1737-1808)1, che in una missiva a Luigi Crespi del 1769 lo diceva ricevuto in dono dal fratello Antonio (?): «Desidererej inoltre qualche dissegno del celebre Signor Giuseppe Crespi suo padre, non ritrovandomi che il di lui ritratto segnato a lapis da se medesimo, che mi fu regalato dal Signor suo fratello, Ella forse neavrà alcuno presso di s黲. Ma la lettera è lontana dall’epoca dei fatti: nel foglio Crespi sembra avere tra i cinquanta e i sessant’anni, in un giro di tempo compreso quindi tra il 1715 e il 1725 circa. Spike allora ipotizza che possa identificarsi col foglio anticamente appartenuto al collezionista fiorentino Francesco Maria Niccolò Gabburri (Firenze 1676-1742), che Zanotti nel 1739 ricorda essergli servito per l’incisione che apre la Vita di Crespi ne lsuo volume: <«<Se lo ha fatto [Crespi] ancora in disegno [l’autoritratto], e lo possiede il cavalier Francesco Gaburri Fiorentino, nella bellissima sua riccolta di ritratti di pittori, fatti di lor propria mano, e da questo s’è ricavato l’anteposto a questa storia»3. Lo stesso che, sulla scorta delle parole del biografo, ricorda anche Luigi Crespi: «Lo fece pure in disegno per il fu cavalier Gaburri Fiorentino, che ne teneva una bella raccolta»4. Il raffronto con il frontespizio alla Vita di Zanotti è però deludente. La stampa anonima in quel volume, ma incisa dal fiorentino Giuseppe Zocchi (Firenze 1711-1767)5, mostra un Crespi sorridente e imbolsito, ben diverso dal volto scarno della matita di Brera. Al contrario, il ritratto inciso forse dallo stesso Luigi nel terzo tomo della sua Felsina Pittrice sembrerebbe ricalcare la matita milanese o un modello a quella affine6. In ogni caso, anche se il foglio di Brera fosse servito a Zanotti come «<anteporta» (mal riuscito) alla sua Vita di Crespi, Spike fa notare che il foglio Gabburri deve essere posteriore al 1722, poiché non compare nell’inventario della propria raccolta redatto in quell’anno dal collezionista fiorentino7. Se si trattasse del foglio a Milano occorrerebbe immaginare un Crespi almeno cinquantasettenne al momento del suo disegno, e parrebbe plausibile.
<<Ha fatto più di una volta il proprio ritratto scrive Zanotti, accorgendosi che ne giravano molti e uno ne ha il nobile Faresini di Vinegia, e un’ altro se ne vede nella galleria de’ Medici, in una di quelle stanza nominate de’ ritratti d’ antichi, e moderni pittori, fatti di lor propria mano». A questi si aggiungono quelli che il biografo ricorda, poco più avanti, per i conti Ughi di Firenze e Antonio di Colato8 e, forse, anche quello menzionato in Casa Ercolani da Marcello Oretti9.

L’immagine che Crespi nel corso della vita codificò e trasmise dise stesso è già tutta nel foglio di Brera: la posa di tre quarti con la spalla destra avanzata e il braccio sul fianco, la mano sinistra (la destra) in vista; il pastrano di stoffa spessa e bruna sopra una camicia bianca aperta sul petto, libero da cravatte; la berretta di panno con l’ampia falda che sporge da un lato, vero e proprio trademark del pittore, scura contro il fondo chiaro di mattoni. Non tutti gli «Autoritratti» si attengono a questo modello, naturalmente, e alcuni sono molto diversi, specie nella prima parte della sua vita, a cominciare da quello all’Ermitage, piccolo rame dove si ritrasse assieme alla famiglia e che donò al suo protettore fiorentinonel novembre 170810 e quello di cui fece pure omaggio al Gran Principe, che lo ringrazio in una lettera per avervi «effigiato al vivo il suo volto e la sua ilarità11, Altri invece e più numerosi sembrano partire proprio dalla matita nera di Brera, che nel foglio del l’Ecole Nationale Supérieure des Beaux-Arts di Parigi vanta almeno una copia diretta12. Quello a Bologna, senza strumenti dell’arte, che Merriman data dopo il 172013. Quello già nella Galleria del marchese Costabili a Ferrara, poi in asta a Milano quindi a Parigi, parte della vendita della Galleria Crespi e oggi a Brera, che ne è replica esatta per    la sola testa14. E poi le tele già presso Colnaghi a Londra e ora a Lexington in Kentucky’s, e quella di collezione privata londinese, apparsa anch’essa presso Colnaghi, ma dopo la stampa del libro della Merriman e ancora inedita. A queste ultime è ispirata la penna degli Uffizi a lungo creduta autografa, ma che ne è semplice copia, forse da riferirsi a Mattioli. Infine quella di collezione privata, scoperta recente e importante a oggi ancora inedita, legata a un passo di Zanotti relativo all’«Autoritratto» dipinto per il conte Ughi di Firenze: «Il cavalier Ughi di Firenze ne ha un’ altro, e con capricciosa invenzione dipinto. Gli avea promesso il detto Cavaliere alcune casse di vino, e perché gli parea, che queste alquanto indugiassero a venire, se stesso ritrasse in atto di dipingere, e nel quadro v’espresse un mulattiere, che alcuni muli guidava, carichi di tali casse, sopr’una delle quali era scritto: prossimo a venire; denotando così la fretta, che n’avea, e a quel signore tanto piacque il giuoco, e la pittura, che non indugiò più il vino a venire, che quanto bisognava per trasportarlo da Firenze a Bologna17. La scritta non si legge, ma la teletta sul cavalletto, coi muli che trasportano le agognate casse, conferma la veridicità dell’aneddoto trasmesso dal biografo e ribadito, anni dopo, anche dal figlio Luigi: «Il suo stesso ritratto, che sta dipingendo al cavalletto su d’una tela, nella quale espresse una condotta di mulattieri con casse di vino, sopra una delle quali scrisse: prossimo a venire, sollecitando così il conte Pietro Ughi a mandargli il vino promessogli»18.

Le molte istantanee di se stesso, quei selfie dipinti in mezza giornata e lasciati freschi sulla tela e volutamente incompiuti (come le due tele già presso Colnaghi, in cui l’intero sfondo è solo abbozzato) sono il racconto di una vita, e «formano un corpus di frammenti di un’autobiografia»19. Di quell’autobiografia per immagini che Crespi scrisse, una pagina al giorno, con le parole immediate e austere della sua pittura.

  1. Si veda: Ciammitti 1995, pp. 31-48.
  2. Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, Ms B 15, lettera n. 171: Filippo Acqua, Osimo, a Luigi Crespi, 16 dicembre 1769; in: Spike 1990a, p. CLVIII, nota 6.
  3.  Zanotti 1739, II, p. 63.
  4. Crespi 1769, p. 216.
  5. Gabburri Ms. Palatino E. B. 9.5, III, ff. 1109-1110: «Da Giuseppe Zocchi fiorentino, giovane molto accurato e spiritoso copiato dall’ orig’ del medesimo Spagnuolo che io ricevei da lui medesime, e fatto di sua mano».
  6. Crespi 1769, p. 201.
  7. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale: A. XVIII, n. 33: «Descrizione dei Disegni della Galleria Gabburri in Firenze», in: Spike 1986, p. 38 e nota 92.
  8. Zanotti 1739, II, p. 63.
  9. Oretti Ms. B 104, parte III, carta 33.
  10. Merriman 1980, pp. 285-286, n. 180; p. 187, n. 184.
  11. Lettera del Gran Principe Ferdinando a Giuseppe Maria Crespi, 28 aprile 1708, ASF Mediceo, f. 5904, carta 357. Vedi: Petrucci 1982, p. 116, nota 19.
  12. Parigi, Ecole National Superieure des Beaux-Arts, inv. n. Mas. 2655.
  13. Merriman 1980, p. 286, n. 192.
  14. Merriman 1980, p. 287, n. 183. Inv. Reg. Cron. 2127. Si veda anche: Nicolle 1914, p. 87, n. 70, ill. E anche: Sicoli 1991, pp. 180-181, n. 83 (dove non si fa menzione del disegno della stessa raccolta).
  15. Merriman 1980, p. 328, n. A6. Oggi presso The Art Museum at the University of Kentucky, Gaines Challenge Fund. Si veda anche: Spike 1986, p. 144, fig. 18.2.
  16. Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, inv. n. 20329 F. Ancora creduto autografo da Merriman (1980, p. 328, al n. A6, riprodotto a fianco del frontespizio).
  17. Zanotti 1739, II, p. 63.
  18. Crespi 1769, p. 215.
  19. Stanzani, in Danieli 2011, p. 138.

Bibliografia: Crespi 1769, p. 216 (?); Voss 1921, riprodotto sul frontespizio; Roli-Sestieri 1981, p. 40, fig. 64; Spike 1990a, pp. CLIX, CLXI, CLXIII, ill.; Spike 1990b, p. 402, n. 12; La Mostra di Giuseppe Maria Crespi 1990, p. 15, ill.; Roli 1991, p. 230, fig.63.1; Baroni 1996, sotto il n. 28; Galerie de La Scala 2001, al n. 7; Baroni 2002, al n. 19; Moro 2007, p. 94; Mazza 2008a, p. 231, al n. 88; Stanzani 2011, p. 139; M. Riccomini, Giuseppe Maria Crespi, i disegni e le stampe, catalogo ragionato, Torino 2014.

 

Marco Riccomini

 

* Tecnica: matita nera su carta bianca.

Controfondato.
Sul verso, a penna e inchiostro bruno: «No. 600»; «n56»:
Incollato su foglio di supporto. Sul foglio di montaggio, oltre la cornice disegnata e colorata, in alto a destra, a penna e inchiostro nero: «600». In basso a destra timbro a secco dell’Accademia di Brera (non in L.).
Una vistosa piegatura corre orizzontalmente per tutta l’estensione del foglio passando tra naso e bocca della figura.

Provenienza: Francesco Maria Niccolò Gabburri (?); Osimo, Filippo Acqua; Francesco Acqua, 1857.

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