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Testa della Vergine (dalla Vergine delle rocce di Leonardo)

Technical Details
  • Title
    Testa della Vergine (dalla Vergine delle rocce di Leonardo)
  • Year
    1500-1505 ca.
  • Dimensions
    271 x 208/209 mm
  • Inventory
    960
  • Signature
    Artista Leonardesco (fine XV secolo - inizi XVI secolo)

Già nella collezione Brambilla a Milano alla fine dell’Ottocento, entrò per dono nella raccolta di Aureliano Albasini Scrosati nel 1894-1895. Noto al Malaguzzi Valeri che, nel secondo tomo della Corte di Ludovico il Moro (1913-1923), così ne scrive: “Un disegno per la testa della Vergine delle rocce, molto sciupato, ch’è nella collezione Albasini Scrosati di Milano, si volle avesse servito per l’esemplare di Affori. Ma è più asciutto di forme e da avvicinare a qualcuna delle antiche riproduzioni”. Notificato dal ministero dell’Istruzione Pubblica il 14 settembre 1929 come “attribuito a Leonardo” con decreto firmato, a nome del soprintendente alle Gallerie della Lombardia, da Fernanda Wittgens, sembra essere stato esaminato anche da Wilhelm
Suida nel 1930 che ne avrebbe confermato il riferimento a Leonardo come “primo pensiero della Vergine delle Rocce” (lettera di Vittorio Albasini Scrosati del 9 aprile 1984, in Archivio della Soprintendenza per i Beni artistici e storici di Milano, fasc. 13/131). Non risulta, stranamente, esposto alla mostra leonardesca del 1939. Più recentemente, fu oggetto di una perizia firmata da Carlo Pedretti negli anni ottanta del Novecento che lo riferì ancora a Leonardo. Sulla base di questo parere il disegno fu acquistato dal mercante d’arte olandese Michael van Rijn che lo vendette a sua volta alla galleria Gekkoso di Tokyo come opera autografa di Leonardo e che lo esportò illegalmente in Giappone (1985). A seguito di un articolo di Renata Pisu apparso sulla “Stampa” di Torino, che dava notizia della presenza a Tokyo del disegno, esplose una polemica che dette luogo a una rogatoria internazionale e che provocò la restituzione e poi il dono del disegno alla Pinacoteca di Brera.

Alla luce di un esame anche superficiale, il disegno non può in alcun modo essere riferito alla mano di Leonardo. Anche a causa del suo stato di conservazione non ottimale (di cui dà conto Giuseppina Bani in una scheda conservativa del 12 dicembre 2018, in Pinacoteca di Brera, Gabinetto dei Disegni, dove viene ipoteticamente riferito ad “Ambito leonardesco, Francesco Napoletano(?)”, forse su vecchia indicazione di Daniele Pescarmona o su parere più recente di Furio Rinaldi) il disegno non ha goduto di grande fortuna critica, né espositiva (si presenta per la prima volta al pubblico in quest’occasione). Solo chi scrive, che ha studiato a più riprese il foglio, dopo l’antico parere del Malaguzzi Valeri, ha tentativamente riferito il disegno, a causa della sua tecnica mista e per una certa assonanza stilistica, ai disegni a gessetti colorati di Giovanni Antonio Boltraffio conservati in Ambrosiana, pubblicandolo per la prima volta nel 1999 con un riferimento dubitativo a quest’artista e confrontandolo con la versione della Vergine delle rocce già della collezione Chéramy a Parigi e oggi in collezione privata svizzera (su cui si veda Marani 1991), già appunto riferita da Carlo Pedretti al Boltraffio stesso o, più di recente, ad atelier di Leonardo. L’attribuzione al Boltraffio è però ora accolta dubitativamente da Sara Taglialagamba (in Pedretti 2017, pp. 39 41, tav. a p. 40: “possibly by Giovanni Antonio Boltraffio”). Il disegno, molto rovinato, è tuttavia più secco e debole degli autografi boltraffieschi, di ben più alta qualità, e sembra addirittura, a un attento esame tipologico, suggerire una derivazione mediata dalla conoscenza di altre copie della Vergine delle rocce, e non direttamente dall’originale collocato in San Francesco Grande (il suggerimento del Malaguzzi Valeri di considerarlo eventualmente copiato dalla versione di Affori, da lui considerata della “maniera” del Luini, indurrebbe a spostare leggermente in avanti la sua datazione), o addirittura delle Madonne di collezione privata e di Torino, Galleria Sabauda, presentate in occasione della mostra Leonardo e la Madonna Litta a cura dello scrivente (i cui estremi sono riportati in bibliografia). La particolare tecnica a gessetto nero rialzato di biacca indurrebbe a collocare cronologicamente il disegno tra la fine del Quattrocento e gli inizi del secolo seguente, e la sua esposizione in questa sede, a fronte delle opere attribuite al Boltraffio, a Marco d’Oggiono e a Francesco Napoletano, potrà valere anche a meglio precisarne i contorni stilistici, cui non sembrano estranei elementi provenienti anche dall’ambito del Giampietrino, senza che ci si senta però obbligati a indicare per forza un nome, il disegno rappresentando bene quel genere di prodotto derivato dai capolavori del maestro che ha decretato la loro fortuna.              .

Bibliografia: F. Malaguzzi Valeri, La Corte di Ludovico il Moro 1913-1923, II: Bramante, Leonardo da Vinci, 1915, p. 425; P. C. Marani, Leonardo. Una carriera di pittore, apparati a cura di P. C. Marani e A. Villata, Milano 1999, p. 142; P. C. Marani, Leonardo. Una carriera di pittore [1999], apparati a cura di P. C. Marani e A. Villata, 2a ed., Milano 2003, p. 142; S. Taglialagamba, in C. Pedretti, Leonardo da Vinci. The “Virgin of the Rocks” in the Chèramy Version. Its History and Critical Fortune, edizione bilingue a cura di S. Taglialagamba, Poggio a Caiano 2017, pp. 39-41, tav. a p. 40; P. C. Marani, Leonardo,  terza edizione ampliata, Milano 2019, p.140; P. C. Marani in Leonardo e la Madonna Litta, catalogo della mostra a cura di A. Di Lorenzo e P.C. Marani, Milano 2019.

 

Pietro C. Marani

 

* Tecnica: punta metallica, gessetto nero, gessetto bianco, matita nera su carta preparata.

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